Il passaggio generazionale in azienda

  1. Cogliere il momento del cambio di Leadership per avviare un percorso di cambiamento che coinvolga tutta l’azienda.
  2. (Per il Figlio/a) Se possibile, fare esperienza in altri contesti (per es. www.erasmus-entrepreneurs.eu).
  3. (Per il Genitore) Se possibile, farsi supportare da un soggetto esterno, capace di vedere le dinamiche con maggior distacco.
  1. Dimenticare che l’Azienda non è la Famiglia.
  2. (Per il Figlio/a) Diventare una copia del Padre/Madre: i tempi sono cambiati, servono competenze e stili diversi per gestire l’azienda oggi.
  3. (Per il Genitore) Misurare le scelte del Figlio/a sulle proprie: un problema può trovare soluzione grazie a scelte diverse, ma ugualmente valide.
Il dato è oggettivo: la maggior parte delle nostre aziende nate fra gli anni ’70 e ’80 sono, oggi, nel bel mezzo del passaggio generazionale.

“Bello!” si direbbe, perché tutto ciò che ha continuità è positivo, ma non è detto che funzioni.

“Fortunato tu, che erediti una fortuna da tuo Padre!” Magari questa frase qualcuno l’ha detta o qualcuno se l’è sentita dire.

Ma è veramente una fortuna?

Il passaggio generazionale in azienda è un momento molto delicato, che molte volte viene dato per scontato, quindi potrebbe diventare pericoloso.

A causa dei cambiamenti intervenuti nell’ultimo decennio inoltre lo è ancora di più, pericoloso intendo, perché è cambiato anche lo scenario e il modo di fare impresa non può più essere quello del millennio precedente.

Quali sono i maggiori rischi del passaggio generazionale in azienda? Dipende da “Com’è il Padre” e da “Com’è il Figlio” (Freud parlerebbe di Tipi Psicologici). Sì, perché la gestione del passaggio generazionale è quasi sempre ricco di implicazioni psicologiche, perché parte dal rapporto Genitore-Figlio/a e porta con sé dinamiche famigliari non sempre facili da comprendere o da accettare.

Ciò che si presenta in genere è questo (l’elenco non è esaustivo):

Lato Genitore:

  • Tipo 1: “Fin che ho fiato, in azienda comando io” (Ovviamente non è mai questa l’espressione reale, ma è la traduzione delle frasi ricorrenti: “Non vedo l’ora di andare in pensione” – “Andrei in pensione anche domani, se solo vedessi le cose funzionare!” – “Se solo mi distraggo un attimo, succedono casini” … e via così).
  • Tipo 2: “Io quel che dovevo fare, l’ho fatto: ora tocca a te” (Questo come si traduce? “Mi prendo un po’ più tempo per me, sto più fuori dall’azienda, ma, quando torno, passo in rassegna le decisioni prese (dal figlio) e se non le condivido le cambio, anche se non si tratta di decisioni sbagliate in assoluto, ma semplicemente diverse da quelle che avrei preso io”).
  • Tipo 3: “Prepariamoci. Non è detto che la penseremo allo stesso modo su tutto, ma mi fido di te” (Raro, ma esiste).

Lato Figlio/a

  • Tipo 1: “Finché c’è Papà/Mamma, decide lui/lei, poi vedremo. Per adesso va bene così o comunque mi adeguo”.
  • Tipo 2: “Sono qui mio malgrado, non condivido nessuna delle scelte di mio padre/madre, mi sento un dipendente come gli altri, con il peso dell’etichetta Figlio del Titolare”.
  • Tipo 3: Ora ci sono io, sono diverso e il mio stile è diverso. Da domani si cambia”.

In ogni caso, comunque si incrocino questi Modi di Essere, il passaggio generazionale in azienda genera: conflitto, insoddisfazione, frustrazione, timore per le sorti dell’azienda e/o della generazione futura.

E nel bel mezzo di queste dinamiche ci sono, non lo dimentichiamo, dipendenti e collaboratori che subiscono la mancanza o la doppia leadership, il balletto delle decisioni prese e disattese, l’imbarazzo di dover “prendere ordini” da chi non si è conquistato le stellette sul campo (leggi “stima dei collaboratori”), ma gode dello scettro del comando per diritto ereditario (leggi “autorità vs autorevolezza”).

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